Imprese sociali
02 Marzo 2012 • di Ferdinando Franguelli
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L'esperienza insegna che quando l'economia è in crisi, le imprese tendono ad assumere le forme giuridiche che ritengono più sicure e tra queste, per una molteplicità di ragioni, viene scelta la società cooperativa.
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La crisi economica sta da anni logorando il tessuto industriale di quasi tutti i settori produttivi presenti nel territorio nazionale.
Assistiamo al progressivo e pressoché inarrestabile deterioramento delle risorse produttive materiali e organizzative senza affrontare il fenomeno da ritenersi più grave, vale a dire la cancellazione, in un breve arco temporale, di quelle professionalità che, specie nel settore agricolo prima e nel settore manifatturiero poi, hanno reso possibile lo sviluppo economico del nostro Paese.
Ci riferiamo, in particolare, a quel complesso di beni immateriali che sono il frutto di uno sforzo di lungo periodo attuato utilizzando, in aggiunta al capitale, risorse umane e creatività e che hanno reso possibile il consolidarsi di valori intangibili, che se dispersi a ragione della crisi in atto, non potranno più essere recuperati neppure impiegando capitali ingenti.
Il rischio che corriamo in concreto è il decadimento della nostra capacita produttiva perché privata delle risorse lavorative qualificate e delle conoscenze accumulate nel tempo, vale a dire di quelle risorse intangibili che sono indispensabili per il processo di gestione e per il posizionamento strategico delle imprese, indipendentemente dal settore di appartenenza.
Come detto in premessa, la società cooperativa, in tempi di crisi, è ritenuta una forma giuridica sicura.
Ciò è quanto emerge da una ricerca promossa dall'Osservatorio del Diritto societario della Camera di commercio di Milano, realizzata in collaborazione con l'Università Cattolica e presentata durante il recente convegno dal titolo «Le diverse forme giuridiche dei soggetti economici in Italia: modelli di crescita e nuove forme di cooperazione».
L'imprenditore, in particolare il piccolo imprenditore in difficoltà, tra le possibili azioni da intraprendere per affrontare la crisi è portato a valutare la possibilità di far partecipare, per evitare la chiusura aziendale, i lavoratori al processo di ristrutturazione (se nel frattempo può trovare nelle istituzioni un sostegno che possa in qualche modo facilitare il difficile percorso).
La forma cooperativa può, in molti casi, dimostrarsi strumento idoneo come già positivamente sperimentato in passato attraverso la legge “Marcora”, vale a dire legge 49 del febbraio 1985 che ha regolato la partecipazione di una società finanziaria al capitale di rischio di cooperative costituite da lavoratori licenziati, cassintegrati o dipendenti di aziende in crisi.
Tale esperienza deve essere rivalutata alla luce dell’attuale situazione che non può non vedere chiamati a partecipare al processo di rilancio delle attività imprenditoriali in crisi tutti i portatori d’interesse, i cosiddetti stakeholder il cui soddisfacimento è l'obiettivo dell’impresa ma che debbono però, considerato il fondamentale valore sociale che l'impresa riveste, essere chiamati a contribuire con un unico ben mirato sforzo corale.
Dobbiamo però evitare alcuni errori commessi anche in applicazione della legge Marcora, vale a dire cadere nella logica del "salvataggio" con interventi finanziari o con sgravi fiscali e contributivi senza la predisposizione di piani di ristrutturazione effettivamente realizzabili e studiati con l'apporto tecnico di professionisti aventi specifiche e provate competenze.
Dovranno essere, poi, ben utilizzate le risorse finanziarie di cui sono dotati i fondi per la promozione e lo sviluppo cooperativo che la legge 59/92 ha voluto a favore della cooperazione indirizzandole proprio a favore delle imprese che, a seguito della crisi in atto, intendono adottare la forma cooperativa per affrontare la necessaria ristrutturazione.
Spesso si sente dire che il passaggio alla forma cooperativa presenta alcune difficoltà basate in particolare su una nuova tipologia gestionale in cui tutti gli stakeholder sono chiamati in vario modo a partecipare. Non si dimentichi, peraltro, che il compito specifico dei fondi in parola
è promuovere la formazione indirizzata a una corretta assimilazione dei principi mutualistici a favore dei partecipanti al progetto di ristrutturazione.
Recenti studi e i dati sui fallimenti mostrano che le cooperative che basano la loro gestione su reali principi cooperativistici, ove la mutualità è effettivamente prevalente, hanno una maggiore tenuta di fronte alle situazioni di crisi economica, garantendo maggiormente l'occupazione rispetto a quanto accade ad altre imprese del settore che non operano secondo i principi mutualistici.
Le cooperative di lavoro, in particolare, hanno come finalità quella di garantire e salvaguardare l’occupazione, ponendosi come obiettivo di lungo periodo la continuità aziendale.
Il perseguimento delle finalità mutualistiche induce, infatti, nei momenti di crisi ad assumere comportamenti diversi da quelli delle imprese con altre forme proprietarie proprio perché l'impresa cooperativa raggiunge il suo obiettivo anche con il semplice soddisfacimento dell'apporto dei soci, vale a dire garantendo la remunerazione del loro apporto lavorativo a ragione del diverso ruolo svolto dal socio in tale tipologia d’impresa rispetto a quello svolto dal socio delle imprese non mutualistiche, che per essere soddisfatto deve necessariamente vedere remunerato il capitale apportato.
È noto, infatti, che nelle società che operano in funzione del perseguimento del profitto, il socio è colui che conferisce il capitale nell'impresa; diversamente il socio della società cooperativa è colui che nell'impresa apporta la propria attività lavorativa, finanzia o ricopre il ruolo di cliente-consumatore oppure di fornitore di beni o di lavoro.
Nelle cooperative di produzione e lavoro, in base alle norme vigenti che ne regolano il funzionamento, la partecipazione dei soci è esaltata e diviene decisiva nelle fasi di difficoltà o meglio di crisi aziendale; i soci lavoratori di cooperativa, infatti, ai sensi della Legge 3 aprile 2001, n. 142:
• concorrono alla gestione dell'impresa partecipando alla formazione degli organi sociali e alla definizione della struttura di direzione e conduzione dell'impresa;
• partecipano all’elaborazione di programmi di sviluppo e alle decisioni concernenti le scelte strategiche, nonché alla realizzazione dei processi produttivi dell'azienda;
• contribuiscono alla formazione del capitale sociale e partecipano al rischio d'impresa, ai risultati economici e alle decisioni sulla loro destinazione;
• mettono a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato dell'attività svolta, nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa stessa.
Viene attribuita, inoltre, all'assemblea dei soci la possibilità di deliberare, all'occorrenza, un piano di crisi aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e siano altresì previsti: la possibilità di riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi e il divieto, per l'intera durata del piano, di distribuzione di eventuali utili, nonché la facoltà di deliberare, nell'ambito del piano di crisi aziendale, forme di apporto anche economico da parte dei soci lavoratori, orientate alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilità e capacita finanziarie.
Proprio queste si ritiene siano le ragioni che supportano la tesi che le cooperative nascono più facilmente nelle fasi di crisi economica, piuttosto che nelle fasi di ascesa del ciclo, rappresentando, quindi, una risposta dei lavoratori a difesa dell’occupazione.
Alcuni ritengono che tale maggiore resistenza delle imprese cooperative faccia leva sulla diversa governance che le cooperative presenterebbero, basata su un orientamento che massimizza il benessere totale di tutti gli stakeholder contro la teoria della creazione di valore per gli azionisti, che avrebbe esasperato comportamenti speculativi di brevissimo periodo senza garantire la continuità aziendale e permettendo la dispersione dei valori intangibili accumulati per mirare a un soddisfacimento immediato.
Non va trascurato,specie in settori cooperativi come quello agricolo e agroalimentare, il loro radicamento territoriale che contribuisce alla conservazione delle tipicità e delle specializzazioni legate al territorio che attraverso la cooperazione vanno rilanciate e difese se si vuole evitare un sicuro scadimento di valori sociali.
In Francia per salvare “SeaFrance”, filiale delle ferrovie francesi, è stato recentemente proposto un progetto di autogestione, sostenuto a sorpresa da Sarkozy e va rilevato che sono in prima linea, sulla scena politica ed economica varie cooperative, società dalla particolare fisionomia, spesso non molto note al grande pubblico. Eppure, le prime 3 della classifica SCOP (Société coopérative et participative), come si apprende dalla stampa, in base alle loro vendite nel 2010, sono “Acome” (che sviluppa prodotti e sistemi per le comunicazioni, materiale elettrico e per le costruzioni), il gruppo “Cheque Dejeuner” e, ancora, il gruppo “Scopelec “, che ha sviluppato competenze nell'ambito delle telecomunicazioni.
Come sostiene Antonio Zanotti nel suo recente articolo "Le coop sono diverse davanti alla crisi", uno dei motivi che hanno contribuito al rafforzamento dell'ente cooperativo è da ritenersi la realizzazione di una rete d’imprese interna al movimento (aggiungerei anche esterna allo stesso per le numerose azioni di collaborazione che si stanno sviluppando con le imprese capitalistiche).
Ciò e da ritenersi condivisibile e se mai la caratteristica naturale di fare rete, da parte delle cooperative, va in questo momento ancor più incentivata.
Si deve rilevare, però, che negli ultimi anni si è mortificato il ruolo delle cooperative con una campagna ingiustificata perché volta a esaltare alcune storture, pur esistenti, che sono state erroneamente e strumentalmente prese a motivo per frenare lo sviluppo della cooperazione basata su autentici principi mutualistici.
Basti pensare ai continui richiami a una parità di trattamento, specialmente fiscale,di soggetti imprenditoriali che non possono essere equiparati alle imprese con scopo di lucro, perché, pur essendo egualmente imprese, sono chiamati a svolgere ruoli assai diversi; ciò ha portato a rendere sempre più esigui gli interventi a favore della cooperazione, pur essendo costituzionalmente previsti.
I principali istituti su cui si basano le imprese mutualistiche hanno, infatti, contribuito in passato al rafforzamento delle imprese cooperative che correttamente li hanno applicati; ci si riferisce, in particolare, alla possibilità offerta dalla legge (e sostenuta dalle Centrali Cooperative) di formare riserve indivisibili per il rafforzamento patrimoniale, di dar corso al finanziamento dei soci e di dar vita a forme consortili e di collaborazione settoriale e intersettoriale.
Ovviamente le cooperative non svolgono un ruolo di mera supplenza del sistema capitalistico in situazioni di crisi e nemmeno possono essere considerate il "salvagente"delle imprese decotte, bensì esse costituiscono storicamente "lo strumento con cui coniugare efficacemente dignità del lavoro e creazione di ricchezza e sviluppo non effimeri. Come supportare però i soci delle nascenti cooperative? Considerato che sono portatori di conoscenze acquisite dall’esperienza ma che devono confrontarsi con le sfide odierne: flessibilità, efficienza, innovazione, globalizzazione … "(nota di Gabriele Gianmarini).
Va sicuramente rivista la posizione, a volte ostile, assunta per mere ragioni politiche da chi è chiamato ad attuare il dettato costituzionale che prevede l' intervento a favore della cooperazione. Detto questo, dovranno essere riviste le modalità di intervento privilegiando, rispetto ai soliti interventi finanziari a pioggia, la messa a disposizione dei soggetti che vogliono costituire una cooperativa, di servizi idonei a sopperire a un’iniziale comprensibile carenza, da parte dei soci; pensiamo alla formazione dedicata alle indispensabili cognizioni tecniche, giuridiche e organizzative.
Questi servizi possono essere forniti dalle strutture per legge chiamate ad assistere la cooperazione (Centrali Cooperative e Fondi Mutualistici), nonché da strutture professionali con provata specializzazione nel settore della consulenza alle imprese cooperative.
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